venerdì 13 marzo 2020

Busadia, il Menestrello libico


Il girovagare di Busadia
L’errante menestrello  libico, buffo con i grandi e terrificante per i bimbi

Nei vecchi rullini appartenuti a mio Padre ho rinvenuto i negativi, tra tanti altri inediti, di cinque foto scattate in Libia nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
Li ho fatti stampare e, visto che le foto sono tutte mosse e sfocate, ho capito il perché mio Padre non abbia ritenuto opportuno inserirle negli album fotografici realizzati con i ricordi della sua avventura africana.
In tutte le foto appare un personaggio che inizialmente m’era sembrato un bizzarro ascaro (soldato coloniale), forse ubriaco.

In seguito mi sono imbattuto in una cartolina illustrata, di edizione inglese, che riprendeva un personaggio simile, e sotto aveva la dicitura: “A Wandering Minstrel, of Libya” (Menestrello Errante, della Libia).

Ancora tempo dopo ho trovato una vecchia cartolina italiana, sempre con lo stesso soggetto, riportante la descrizione: “Busadia, il Buffone libico”.

A questo punto, incuriosito, ho iniziato una ricerca su questo personaggio.

Nelle città e nei villaggi libici (ma anche tunisini e algerini), almeno fino a tutti gli anni cinquanta, si è aggirata la figura del negro “Busadia” che, essendo vestito in modo grottesco, suscitava ilarità ed era descritto come “buffone”.

Non sarebbe azzardato assimilare questo personaggio, anche per gli stravaganti aggeggi che ornano il suo costume e per la sua comicità, all’imbonitore “Pazzariello” del folklore napoletano.


Nello stesso tempo le sue mosse scimmiesche ci permettono di paragonarlo, parzialmente, anche alla figura dello sciocco “Narren” del carnevale svevo-alemanno.

In verità in Busadia c’è qualcosa dell’uno e dell’altro e sull’origine di questa maschera tripolina non ci sono notizie certe, tranne qualche leggenda.

La prima narra che tutto ha inizio quando ad un re africano, di nome Busadia (“padre di Sadia”) che regna su alcuni territori oltre il deserto del Sahara, i cacciatori di schiavi rapiscono la figlia Sadia vendendola subito a commercianti che con le carovane attraversano il grande deserto.
Per ritrovarla Busadia si traveste con abiti stravaganti e colorati che, nella loro comica miseria, nascondo la sua vera identità.
L’abbigliamento è costituito da pelli di animali e piume di uccello; attorno alla cintura ha una gran quantità di ossi animali legati uno ad uno con lo spago; in testa un copricapo, anch’esso di pelle, ornato di conchiglie e specchietto.
Sul naso è infilato il lungo becco di un uccello e al mento una barba finta fatta di peli di cammello e crini di cavallo.
In una mano ha un piccolo bastone con il quale batte una “danca”, una sorta di tamburo, che sostiene con l’altro arto.

Tutti gli accessori, che rendono stravagante la sua persona, producono dei suoni quando si sposta e quando danza al ritmo del tamburo che ha con sé; la maggior parte delle sue mosse sono fatte per spaventare i bambini.
Così abbigliato Busadia inizia un lungo girovagare per cercare la figlia e si dirige sulla costa settentrionale dell’Africa dove sa che si trovano grandi mercati di schiavi.
Qui, nel suo gironzolare, si intrattiene con tutti coloro che incontra; chiede, prega e distribuisce consigli; bussa alle porte e la gente gli dà quel che può, cibo o soldi.
Attraversa città e villaggi danzando e suonando il suo tamburo, anche se non tutti capiscono granché delle sue canzoni, ma lui continua a vagare, a danzare e a suonare il tamburo; spera che un giorno, da qualche parte, sua figlia lo possa sentire.
Nessuno sa da dove sia venuto, alcuni dicono dal Mali, altri dal Niger, di certo c’è che ha la pelle nera; molto, ma molto scura.

Altra leggenda, tipicamente tripolina, ci narra che Busadia è un negro del Sudan costretto dal bisogno a lasciare il suo paese e mettersi in viaggio verso la Tripolitania.
Durante il viaggio moglie e figlia, che lo accompagnano, lo sollecitano ad inventarsi un mestiere che permetta loro di sopravvivere.
Viaggiando trova un accampamento di arabi ai quali vende alcuni oggetti della moglie; con il ricavato compra una quantità di ossi, spaghi, bastone, tamburo e tutto quanto necessario a travestirsi come già descritto.
Questo abbigliamento e tutti questi accessori che ciondolando producono strani suoni e attirano la curiosità di chi incontra; tutti ridono della sua danza e del battere sul suo tamburo.

Solo mettendo in atto questi accorgimenti il suo nuovo mestiere riesce a procurargli cibo e denaro.
E queste ingegnosità lo avvicinano molto alle motivazioni che portarono alla nascita del "pazzariello" napoletano; vano sarebbe ricercare altre origini o cause.

In alcuni villaggi della Libia ci sono canti tradizionali che parlano di lui e che i bambini intonano quando lo scorgono da lontano; nel vederlo arrivare subito corrono verso di lui e, danzando, lo circondano.
Poi si dividono in due gruppi e cantando recitano una sorta di dialogo che ha come soggetto questo “menestrello” e la sua storia.
Il primo gruppo di bimbi canta:
“Wein housh busadia masal geddam shueia?” - “Dov’è la casa di Busadia?”
Il secondo gruppo risponde:
“È lontana! Molto lontana” - “Ancora più lontana”.

A Tripoli i piccoli sono terrificati nel vederlo; si dice che mangia i bambini, nonostante sia innocuo folklore.
Abitualmente le mamme sono solite minacciare i più capricciosi avvertendoli che chiederanno a Busadia di portarseli via se non andranno presto a dormire.
Tutti lo ricordano passare per vicoli e viuzze della città in cerca di “crintallah” (elemosina) e nel vederlo, per vincere le loro paure, gridano:
“Busadia gana gana” – “Busadia vince, vince”

Per anni la tradizione resta in vita, qualcuno si veste e danza come lui ma poi, proprio come dal nulla è apparso, nel nulla sparisce.
Chissà dove è andato a morire, dopo tanto girovagare.
Dov’è la casa di Busadia?
Nessuno lo sa!








sabato 21 settembre 2013

Folclore Libico 1

Cartoline e foto riproducenti folclore libico, acquistate, o scattate, da mio Padre in Africa negli anni di guerra.






















lunedì 15 luglio 2013

Tobruch - Diario da una buca - 22° Giorno



Mercoledì 22/10 – 1941 – XIX

 

Il sole tramonta in un limbo di sfumate luci vermiglie sullo sfondo coriaceo della distesa Marmarica.
 
Le opposte artiglierie si scambiano gli ultimi fragorosi saluti della giornata.
Si accendono i gemmati lumi della notte e, per le vie stellari, si lanciano in opposte direzioni i bolidi rombanti.
Puntate ad est, dal suono ampio e squillante.
Tonfi di bombe sulla città assediata.
Bianchi lampeggi delle granate, sciabolate di riflettori da terra, e lampioncini appesi al drappo azzurro dall’alto.
Parabole graziose e pittoresche, anelanti fontane di luce dei proiettili traccianti.
Nell’ampia cerchia che fronteggia il vallo degli assediati, fra gli uadi e le dune sabbiose, affacciato ai margini dei ciglioni aggrottati, aggrappato alle quote vittoriose e bruciacchiate, veglia il fante paziente e tenace, accanto alla sua arma.
Il fante che balzerà ardito e vibrante quando Dio vorrà che la veglia d’armi sia compiuta.
Vigila il fante, uscito dalle buche che hanno offerto il duro giaciglio ed il fragile riposo nell’afosa giornata, quando il sibilo del vento si trascina il codazzo della polvere nella scia infuocata.
Le pupille fisse oltre il reticolato, sogna il fante incantato.
Sognano i cuori ed aspettano il dì beato.
Balzeranno allora nuovi paladini, sotto il rovente arco di fuoco, i fanti d’Italia, per afferrare alla gola il pestifero mostro britannico.
Libera dalle catene sorgerà luminosa e spiccherà il gran volo la Vittoria Africana.
 
Caporal Maggiore Carmine Peluso

sabato 29 giugno 2013

Tobruch - Diario da una buca - 21° Giorno




Martedì 21/10 – 1941 – XIX

 

Orlate di sabbia rovente si allungano silenziose le canne delle armi.
Luccicano in dormiveglia quasi avessero mille occhi socchiusi.
Si aggrappano intorno ad esse munizioni ed attrezzi, qualche casco, sbiancato dal sole e in abbandono sulla sabbia morbida.
Nessuno in vista.
Il caposaldo dorme all’afa.  Ma no!  Non dorme.
Ora, quasi soffocato dallo spazio che ci circonda, giunge a me un chiacchierio serrato e animoso, punteggiato da risate.
Cosa hanno i miei taciturni compagni, usi ai lunghi silenzi dell’attesa?
Giungono notizie forse, ed anche gustose a giudicare dall’allegria che ne sottolinea l’arrivo.
Perbacco!  Ora esagerano.
Il gruppo s’anima sempre più clamoroso.
Che accade?
La notizia è importantissima dunque.
L’animazione con cui è accolta vince la mia pigrizia.
Mi alzo e vado.
Son tutti là, sotto le postazioni, che si agitano vivaci, come bimbi intorno ad un compagno stranamente taciturno e scontroso.
E’ in imbarazzo, l’asso della mitragliera non risponde pronto come sempre ai frizzi amichevoli di cui sembra essere oggetto; e non risponde nemmeno alle mie domande niente affatto ironiche.
Sembra angustiato dal chiasso ma gli luccicano gli occhi vigili; sul viso serio arieggia timido un sorriso.
“Sai!”
Mi dice sommesso e quasi a malincuore
 
Vi lascio, vado in Italia!”
Il sorriso però si accentua, uno strano sorriso, ove l’attesa ed il presente mescolano gioia e dolore.
 
“Alda mi aspetta!”
Continua animandosi.
“Ci sposiamo, costruiamo il nostro nido, e sarà nido da mitragliere dal polso fermo e l’occhio lungo!”
 
Poi rivolgendosi ad uno degli astanti.
“Ti lascio la mitraglia, Gino, falla cantare, ma non crederla tua per sempre, tornerò a riprendermela più deciso, più tranquillo dopo la breve felicità goduta.”
Tutti tacciono; la commozione, che finora hanno nascosto gelosamente sotto l’allegria, la vince; chiude loro la gola, impedisce gli addii.
L’asso della mitraglia non parla e bruscamente si stacca da noi; s’avvia velocemente, quasi volesse sfuggire ai sentimenti che battono in lui.
La sua ombra si staglia ancora un minuto nella luce della sera, calata ad un tratto.
La stella polare occhieggia, quasi guidandolo.
Là è l’Italia!
 
Caporal Maggiore Carmine Peluso
 

domenica 9 giugno 2013

Tobruch - Diario da una buca - 20° Giorno



Lunedì 20/10 – 1941 – XIX

 
I grandi avvenimenti che ogni giorno vanno sempre più realizzandosi sul fronte orientale, ove il mondo assiste alla più impressionante campagna che la storia conosca e alle più strepitose vittorie che mai siano state registrate, sono fatalmente destinati a distogliere l’attenzione del grosso pubblico da ciò che avviene in Africa settentrionale.
Ma non solo, passa in secondo ordine anche la disperata eroica resistenza che ancora tenacemente oppongono al nemico i nostri camerati in Africa Orientale ove la cessazione della stagione delle piogge aveva fatto nascere nuove speranze a tutte le Razze raccolte dall’Inghilterra contro di noi, nei territori del nostro Impero.
Non c’è chi non veda che ciò è perfettamente logico e naturale.
Non c’è chi non se ne renda perfettamente conto.
E come noi se ne renderanno conto i nostri fratelli che ancora lottano con estremo coraggio in A.O.I. anche perché in fondo ognuno di noi sa benissimo che se l’interesse e polarizzato verso l’oriente europeo il cuore degli Italiani è sempre rivolto all’Africa ed a noi che qui combattiamo duramente da sedici mesi contro l’odiato nemico.
Non è lontano il giorno che richiamerà verso di noi l’attenzione del mondo e qui, ancora una volta, saranno giuocate delle carte di fondamentale importanza per gli sviluppi del conflitto.
Quel giorno, quella che è stata la nostra esistenza, quel che rappresenta il nostro terreno, quel che ha voluto dire per il nemico il nostro fronte, quel giorno tutto apparirà nella sua luce migliore e tutti ci daranno atto della funzione da noi esercitata nel vasto quadro della guerra in corso in questa vecchia Europa in cerca di pace.
Ma questa volta vera pace, con giustizia per tutti i popoli.
Intanto dobbiamo tener duro e la parola d’ordine trova in tutti noi, dai capi all’ultimo gregario, piena comprensione in assoluta disciplina e vero entusiasmo. 
Senza impazienza, sicuri che arriverà la nostra ora; noi vigiliamo e rendiamo difficile la vita al nemico. Per noi non ci sono soste, non ci sono pause, la battaglia continua!
Giustamente uno dei nostri capi ebbe a dire che ci si deve considerare sempre in combattimento. Il combattimento non conosce solo le frasi previste dalle regolamentazioni ma è fatto anche di vigile attesa attiva durante la quale non bisogna dar tregua al nemico così che esso non si consideri mai tranquillo.
E anche quando il bollettino dice che sul fronte Marmarico non c’è stato niente di nuovo noi sappiamo che il nemico quella notte non ha dormito, perché non gli abbiamo dato pace. Né gli daremo pace fino a che non se ne sarà andato dall’Egitto e dall’Africa.
Su questo gli Inglesi possono essere certi e star sicuri poiché abbiamo troppi vecchi conti e nuovi da regolare.
Il mondo intero dovrà domani erigere ai nostri eroi, ai nostri caduti, un eterno monumento di gratitudine, che noi veramente avremo salvato il mondo da un’insopportabile schiavitù, la schiavitù dell’oro.
In questa immane lotta fra l’oro ed il sangue, come ebbe a dire il Duce, non c’è possibilità di scelta; la vittoria è dei popoli giovani.
 
Caporalmaggiore Carmine Peluso

giovedì 23 maggio 2013

Tobruch - Diario da una buca - 19° Giorno




Domenica 19/10 – 1941 – XIX

 

Questa mattina abbiamo assistito alla Santa Messa ed il resto della giornata è stato ottimo.
Questa sera il buio è pesto, il silenzio è di tomba. La notte è senza luna e per di più uno strato di dense nuvole si è aggiunto a nascondere il debole riflesso delle stelle.
Dentro le nostre tane è giunta alle nostre orecchie soltanto il sussurro di un primo venticello autunnale che spira dal nord.
A volte si dimentica addirittura il luogo e il tempo che si vive. Si ha l’impressione, veramente, di essere relegati nel più remoto angolo della terra.
All’improvviso soltanto il crepitio della mitraglia, o il rombo di un cannone, ci richiamano alla realtà.
Centinaia di uomini, senza apparire, vigilano anche in mezzo a questa ispirata quiete sepolcrale.
Il fante non dorme mai!...
Ad un tratto viene intercettato, lassù in alto, molto in alto, un sordo ronzio di eliche. I nostri bombardieri si apprestano a suonare la solita notturna ed appassionata serenata ai cari amici rinchiusi in Tobruch.
Pochi secondi son passati e già sulla piazza di Tobruch sono stati sganciati diversi razzi che illuminano la zona sottostante.
Dall’alto, intanto, vengono avvistati ed osservati bene tutti gli obiettivi prestabiliti. I primi razzi si sono spenti e gli altri sono, pure loro, quasi alla fine.
In un lampo, il lontano ronzio dei nostri “Sparvieri” è sopraffatto dal rumore delle bombe lanciate contro gli assediati di Albione.
Da terra il fuoco delle armi nemiche è diretto contro il cielo.
Scie luminose di fari si innalzano in cerca della preda, seguiti dal fuoco di tutte le artiglierie contro aerei. Le mitraglia da 20 incrociano, con interminabili raffiche, lo spazio; costruendo una fitta rete di perforanti attraverso la quale nemmeno una mosca troverebbe via libera.
Ciò però non impedisce ai nostri piloti, dal cuore saldo e dalla volontà ferrea, di raggiungere lo scopo.
Pillole di medio e grosso calibro sembra facciano a gara a rincorrersi nell’aria con sibili tremendi.
In breve parecchie postazioni di artiglieria contro aerea vengono centrate e messe completamente fuori uso. Altre ridotte al silenzio.
Un riflettore è stato preso in pieno ed i rimanenti hanno spento la luce per evitare di subire la stessa sorte.
Al fine un raggio immenso di fiamme si sprigiona dalla piazza assediata e si innalza sempre più alto tanto da rischiarare anche le nostre buche.
Il fante che dal primo rumore è balzato fuori, ed ha assistito alla magnifica operazione dei nostri bombardieri con ansia febbrile e col cuore trepidante, ora è preso da una gioia grande ed applaude ai valorosi camerati dell’aria.
 
Caporalmaggiore Carmine Peluso
 

venerdì 19 aprile 2013

Tobruch - Diario da una buca - 18° Giorno




Sabato 18/10 – 1941 – XIX


Questa mattina stavo sotto la tenda a riposare. Di un po’ di riposo avevo bisogno giacché oltre al lavoro di ieri, per costruire la mia buca, questa notte sono stato in giro per i capisaldi.



Mi butto sulla branda, una bella branda di caserma. Di fuori arrivano quei pomodori che quella bestia di un australiano ogni mattina manda; forse crede di poter passare in sussistenza con loro, ma ha sbagliato di grosso.
Mi tiro le due grosse coperte fin sulla gola ed in fondo lascio fuori i piedi.
Stavo già buttandomi in braccio a Morfeo quando viene a chiamarmi l’attendente del mio Capitano. Potete intuire, col sonno che avevo, quale faccia ho fatto. A dire il vero l’ho anche mandato a……..………in giro per la carta geografica, ma dopo, si capisce, sulla manica quei tre filetti lustri….

Brevi, mi alzo e vado. Ritorno e mi metto di nuovo a letto. Le granate si susseguono e in cuor mio dico: “ora basta!”
L’altro giorno per poco non mi hanno fatto dormire come un papa di duecento anni e non sono stato passato in sussistenza da quei farabutti.
Ma ora dormo in questa buca; questa volta, se me la rompono, vado la e rompo loro il muso.

Caporal Maggiore Carmine Peluso