sabato 19 maggio 2012

Tobruch - Diario da una buca - 3° Giorno



Venerdì 3/10 – 1941 – XIX

Questa mattina appena scosso dal torpore del sonno, una mano svogliata passa sulle mascelle sbadigliando; ed ecco che fa l’amara constatazione di avere la barba lunga. Amara constatazione può sembrare un’espressione scamiciata per chi vive dove, ad ogni passo, può trovare un salone pieno di specchi e di poltrone. Ma in piena Marmarica è logico che l’amara constatazione non possa certo rallegrare lo spirito. Le mani morbide ed esperte dei barbieri che sanno accarezzare le guance per togliere il pelo superfluo di chi al mento non vuole proprio rendere onor, non sono che ricordi.
Ma qui, come a tutto, si rimedia anche a questo.
Infatti, ecco il barbiere.
Buongiorno caporal maggiore!
Salve farabutto!
Il barbitonsore ha un piccolo sgabello basso con una cassettina contenente i ferri e che sembra un salvadanaio, un asciugatoio da bagno, un tempo bianco coi timbri di fabbricazione; ora di tinta indefinita e coperto di gloriosi strappi.
Per scusarsi mi racconta l’aneddoto di “Bandiera vecchia onor di Capitano”.
Tutti ciarlieri questi distruttori di virilità maschili. Dalla cassettina magica esce allora una scatoletta di carne (1939) vuota, con un indovinato strato di ruggine, in cui versa un po’ d’acqua (salata); poi compare un pennello, spelacchiato come i fianchi scarni del cavallo di Don Chisciotte, ed un rasoio dall’apparenza ottima, ma dalla lama già più volte gloriosamente mutilata.
Il momento critico si avvicina e con più rassegnazione mi accomodo alla meglio su quel piccolo sgabello troppo debole per ispirare fiducia. L’operazione ha inizio col solito rituale sospiro che esce spontaneo ad ognuno.
Il pennello volteggia sul viso. Cerca di far produrre la schiuma al sapone.
Poco dopo la lama di acciaio entra in azione, comincia a brillare al sole con scintille che sembrano di odio; si abbassa, produce il primo sforzo, stronca peli a metà; alcuni li sradica, altri gli resistono validamente.
Allora si concede un attimo di tregua, poi ritorna alla carica, stringe i denti e falcia più volte finché, coperta da glorioso sangue, passa vittorioso con uno stridio che fa lacrimare gli occhi.
L’operazione (dell’alta chirurgia) è ormai finita.
Impassibile il barbiere di compagnia depone i suoi ferri di tortura, getta via l’acqua, ora rossastra, chiude la cassetta e saluta.
Arrivederci maggiore!
Addio giustiziere!
Per tre giorni allora il mio spirito ridiventerà allegro e ottimista.

Caporal Maggiore Carmine Peluso



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